L’Europa, che, almeno finora, si è guardata bene dal riconoscere le proprie radici cristiane, ha fatto marcia indietro e, sul crocifisso esposto nelle aule delle scuole pubbliche, ha dato ragione all’Italia, cancellando la condanna precedentemente comminata. Questo, in sintesi, il verdetto della Grande Camera della Corte europea per i diritti dell’uomo chiamata ad esprimersi come giudice d’appello sul caso “Lautsi e altri contro Italia”. Per i giudici, dunque, non c’è stata alcuna violazione delle norme a tutela dei diritti umani. La decisione è stata approvata con 15 voti favorevoli e due contrari. Si chiude così il procedimento aperto il 27 luglio 2006 dal ricorso di Soile Lautsi, cittadina italiana di origini finlandesi, che riteneva la presenza del crocifisso nella scuola pubblica di Abano Terme ( in provincia di Padova) all’epoca frequentata dai figli una ingerenza incompatibile con libertà di pensiero, convinzione e di religione (di cui all’articolo 9 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950) oltre che del diritto all’istruzione, in particolare, del diritto ad un’educazione ed insegnamento conformi alle convinzioni religiose e filosofiche dei genitori (formalmente riconosciuto dall’articolo 2 del Protocollo n.1).
Il verdetto, che è inappellabile, è stato adottato dal collegio composto da Jean-Paul Costa (France), in qualità di presidente, e dai giudici Christos Rozakis (Grecia), Nicolas Bratza (Regno Unito), Peer Lorenzen (Danimarca), Josep Casadevall (Andorra), Giovanni Bonello (Malta), Nina Vajiæ (Croazia), Rait Maruste (Estonia), Anatoly Kovler (Russia), Sverre Erik Jebens (Norvegia), Päivi Hirvelä (Finlandia), Giorgio Malinverni (Svizzera), George Nicolaou (Cipro), Ann Power (Irlanda), Zdravka Kalaydjieva (Bulgaria), Mihai Poalelungi (Moldavia), Guido Raimondi (Italia) con l’assistenza del cancelliere Erik Fribergh. I membri dell’organismo sovranazionale hanno rilevato che «se è vero che il crocifisso è prima di tutto un simbolo religioso, non sussistono tuttavia, nella fattispecie, elementi attestanti l’eventuale influenza che l’esposizione di un simbolo di questa natura sulle mura delle aule scolastiche potrebbe avere sugli alunni».
Nella motivazione del provvedimento, proprio in merito all’articolo 2 del protocollo 1 sul diritto all’istruzione (alla base della condanna di primo grado, impugnata dal governo italiano, artefice di una vera e propria mobilitazione, sia giudiziaria che diplomatica) si legge che «l’obbligo degli Stati membri del Consiglio d’Europa di rispettare le convinzioni religiose e filosofiche dei genitori non riguarda solo il contenuto dell’istruzione e le modalità in cui viene essa dispensata: tale obbligo compete loro nell’esercizio dell’insieme delle “funzioni” che gli Stati si assumono in materia di educazione e di insegnamento». Il che «comprende l’allestimento degli ambienti scolastici qualora il diritto interno preveda che questa funzione incomba alle autorità pubbliche». Poiché la decisione riguardante la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche «attiene alle funzioni assunte dallo Stato italiano, essa rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 2 del protocollo 1». Questa disposizione, prosegue il provvedimento, «attribuisce allo Stato l’obbligo di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di educazione e d’insegnamento, il diritto dei genitori di garantire ai propri figli una educazione e un insegnamento conformi alle loro convinzioni religiose e filosofiche».
La Corte «constata che nel rendere obbligatoria la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche, la normativa italiana attribuisce alla religione maggioritaria del paese una visibilità preponderante nell’ ambiente scolastico» e sottolinea, altresì, che «un crocifisso apposto su un muro è un simbolo essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può essere paragonata a un discorso didattico o alla partecipazione ad attività religiose». Sulla scorta di queste considerazioni la Corte rileva che «il diritto della ricorrente, in quanto genitrice, di spiegare e consigliare i suoi figli e orientarli verso una direzione conforme alle proprie convinzioni filosofiche è rimasto intatto». Di qui l’ulteriore corollario che «decidendo di mantenere il crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche frequentate dai bambini della ricorrente, le autorità hanno agito entro i limiti dei poteri di cui dispone l’Italia nel quadro del suo obbligo di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di educazione e d’insegnamento, il diritto dei genitori di garantire tale istruzione secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche».
La sentenza è stata accolta con comprensibile soddisfazione dalla Santa Sede. Il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha sottolineato come si tratta di «una sentenza assai impegnativa e che fa storia, come dimostra il risultato a cui è pervenuta la Grande Chambre al termine di un esame approfondito della questione». Il ministro della Pubblica istruzione, Mariastella Gelimi ha espresso «profonda soddisfazione per la sentenza della Corte di Strasburgo»; «un pronunciamento - si legge in una nota - nel quale si riconosce la gran parte del popolo italiano». «Si tratta - ha proseguito - di una grande vittoria per la difesa di un simbolo irrinunciabile della storia e dell’identità culturale del nostro Paese. Il Crocifisso sintetizza i valori del Cristianesimo, i principi sui cui poggia la cultura europea e la stessa civiltà occidentale: il rispetto della dignità della persona umana e della sua libertà. È un simbolo dunque che non divide ma unisce e la sua presenza, anche nelle aule scolastiche, non rappresenta una minaccia né alla laicità dello Stato, né alla libertà religiosa». Per il presidente dell’Udc Rocco Buttiglione «con questa sentenza viene chiaramente battuta una posizione culturale di laicità negativa che considera opportuno dare un privilegio a chi è ateo mettendo a sua esclusiva disposizione lo spazio pubblico. Si afferma invece che il religioso fa parte inestricabilmente della vita e della cultura, e che in Europa in particolare i simboli cristiani sono diventati elementi costitutivi della cultura europea. Un valore che non è confessionale ed impositivo, ma è un valore anche per chi non si considera religioso. In Gran Bretagna come in molti altri Paesi tutti i cittadini - credenti e non - amano la bandiera, e sulla bandiera c’è la croce». Per padre Gonzalo Miranda, teologo moralista dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, «anche a partire da una visione laica della vita, non necessariamente religiosa, si può difendere il crocifisso perché, in realtà, è in atto un tentativo di aggressione ad un simbolo che ha una valenza identitaria anche dal punto di vista culturale e sociale. A tale proposito Miguel de Unamuno y Jugo, scrittore e filosofo agnostico spagnolo degli anni Trenta, riteneva che la difesa del crocifisso fosse «una difesa di libertà».
A stretto giro dal provvedimento della Corte di Cassazione con cui è stata confermata la rimozione dall’ordinamento giudiziario dell’ex giudici Tosti, in forza al tribunale di Camerino, che si era rifiutato di tenere udienza in aule con il crocifisso, ecco l’ennesima vittoria per chi, in quel simbolo religioso, riconosce il senso più vero della nostra millenaria storia.
Il verdetto, che è inappellabile, è stato adottato dal collegio composto da Jean-Paul Costa (France), in qualità di presidente, e dai giudici Christos Rozakis (Grecia), Nicolas Bratza (Regno Unito), Peer Lorenzen (Danimarca), Josep Casadevall (Andorra), Giovanni Bonello (Malta), Nina Vajiæ (Croazia), Rait Maruste (Estonia), Anatoly Kovler (Russia), Sverre Erik Jebens (Norvegia), Päivi Hirvelä (Finlandia), Giorgio Malinverni (Svizzera), George Nicolaou (Cipro), Ann Power (Irlanda), Zdravka Kalaydjieva (Bulgaria), Mihai Poalelungi (Moldavia), Guido Raimondi (Italia) con l’assistenza del cancelliere Erik Fribergh. I membri dell’organismo sovranazionale hanno rilevato che «se è vero che il crocifisso è prima di tutto un simbolo religioso, non sussistono tuttavia, nella fattispecie, elementi attestanti l’eventuale influenza che l’esposizione di un simbolo di questa natura sulle mura delle aule scolastiche potrebbe avere sugli alunni».
Nella motivazione del provvedimento, proprio in merito all’articolo 2 del protocollo 1 sul diritto all’istruzione (alla base della condanna di primo grado, impugnata dal governo italiano, artefice di una vera e propria mobilitazione, sia giudiziaria che diplomatica) si legge che «l’obbligo degli Stati membri del Consiglio d’Europa di rispettare le convinzioni religiose e filosofiche dei genitori non riguarda solo il contenuto dell’istruzione e le modalità in cui viene essa dispensata: tale obbligo compete loro nell’esercizio dell’insieme delle “funzioni” che gli Stati si assumono in materia di educazione e di insegnamento». Il che «comprende l’allestimento degli ambienti scolastici qualora il diritto interno preveda che questa funzione incomba alle autorità pubbliche». Poiché la decisione riguardante la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche «attiene alle funzioni assunte dallo Stato italiano, essa rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 2 del protocollo 1». Questa disposizione, prosegue il provvedimento, «attribuisce allo Stato l’obbligo di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di educazione e d’insegnamento, il diritto dei genitori di garantire ai propri figli una educazione e un insegnamento conformi alle loro convinzioni religiose e filosofiche».
La Corte «constata che nel rendere obbligatoria la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche, la normativa italiana attribuisce alla religione maggioritaria del paese una visibilità preponderante nell’ ambiente scolastico» e sottolinea, altresì, che «un crocifisso apposto su un muro è un simbolo essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può essere paragonata a un discorso didattico o alla partecipazione ad attività religiose». Sulla scorta di queste considerazioni la Corte rileva che «il diritto della ricorrente, in quanto genitrice, di spiegare e consigliare i suoi figli e orientarli verso una direzione conforme alle proprie convinzioni filosofiche è rimasto intatto». Di qui l’ulteriore corollario che «decidendo di mantenere il crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche frequentate dai bambini della ricorrente, le autorità hanno agito entro i limiti dei poteri di cui dispone l’Italia nel quadro del suo obbligo di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di educazione e d’insegnamento, il diritto dei genitori di garantire tale istruzione secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche».
La sentenza è stata accolta con comprensibile soddisfazione dalla Santa Sede. Il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha sottolineato come si tratta di «una sentenza assai impegnativa e che fa storia, come dimostra il risultato a cui è pervenuta la Grande Chambre al termine di un esame approfondito della questione». Il ministro della Pubblica istruzione, Mariastella Gelimi ha espresso «profonda soddisfazione per la sentenza della Corte di Strasburgo»; «un pronunciamento - si legge in una nota - nel quale si riconosce la gran parte del popolo italiano». «Si tratta - ha proseguito - di una grande vittoria per la difesa di un simbolo irrinunciabile della storia e dell’identità culturale del nostro Paese. Il Crocifisso sintetizza i valori del Cristianesimo, i principi sui cui poggia la cultura europea e la stessa civiltà occidentale: il rispetto della dignità della persona umana e della sua libertà. È un simbolo dunque che non divide ma unisce e la sua presenza, anche nelle aule scolastiche, non rappresenta una minaccia né alla laicità dello Stato, né alla libertà religiosa». Per il presidente dell’Udc Rocco Buttiglione «con questa sentenza viene chiaramente battuta una posizione culturale di laicità negativa che considera opportuno dare un privilegio a chi è ateo mettendo a sua esclusiva disposizione lo spazio pubblico. Si afferma invece che il religioso fa parte inestricabilmente della vita e della cultura, e che in Europa in particolare i simboli cristiani sono diventati elementi costitutivi della cultura europea. Un valore che non è confessionale ed impositivo, ma è un valore anche per chi non si considera religioso. In Gran Bretagna come in molti altri Paesi tutti i cittadini - credenti e non - amano la bandiera, e sulla bandiera c’è la croce». Per padre Gonzalo Miranda, teologo moralista dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, «anche a partire da una visione laica della vita, non necessariamente religiosa, si può difendere il crocifisso perché, in realtà, è in atto un tentativo di aggressione ad un simbolo che ha una valenza identitaria anche dal punto di vista culturale e sociale. A tale proposito Miguel de Unamuno y Jugo, scrittore e filosofo agnostico spagnolo degli anni Trenta, riteneva che la difesa del crocifisso fosse «una difesa di libertà».
A stretto giro dal provvedimento della Corte di Cassazione con cui è stata confermata la rimozione dall’ordinamento giudiziario dell’ex giudici Tosti, in forza al tribunale di Camerino, che si era rifiutato di tenere udienza in aule con il crocifisso, ecco l’ennesima vittoria per chi, in quel simbolo religioso, riconosce il senso più vero della nostra millenaria storia.
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