Dobbiamo riprendere un impegno politico attivo dei cattolici anche a Latina. Questo non significa operare con una realtà neo-democristiana...la storia non va indietro anzi....ma abbiamo bisogno di punti di riferimento veri e concreti di cattolici nella politica amministrativa...il problema è che oggi non ne vediamo. Allora cosa fare ? Apriamo un confronto anche a Latina ? Di seguito pubblichiamo un importante articolo, tratto da "La Discussione"
Ivan Simeone
Il Papa Benedetto XVI, a Cagliari, nel 2008, ha auspicato «una nuova generazione di cristiani impegnati nella società e nella politica». Il suo è un richiamo alla responsabilità delle comunità cristiane e un invito ad attivare la partecipazione. Si ripropone un nuovo cattolicesimo politico capace di superare la subalternità culturale. Ci vuole un sussulto di dinamismo per passare dalla subordinazione al protagonismo. I tempi sono maturi per iniziare ad invertire la tendenza, a condizione che si eviti di essere assorbiti dall’attuale bipolarismo.
Per questa operazione va riattivato il genio del cattolicesimo italiano che nel passato ha conosciuto nobili figure di statisti, di santi, di protagonisti di fede, di libertà e di civiltà nella nostra patria. Personaggi ad esempio come De Gasperi, Moro, Bachelet che hanno servito Dio e gli uomini, fanno parte integrante della storia d’Italia. Ma son tanti gli esponenti del mondo cattolico, dotati di grande spessore etico, culturale che hanno contribuito alla costruzione della democrazia repubblicana. Gli studiosi onesti concordano nel dire che la rinascita della vita politica e culturale è avvenuta anche grazie al contributo dei cattolici. In questo passaggio storico, il mondo cattolico dev’essere in grado di elaborare idee moderne, visioni vincenti per costruire una nuova idea per l’Italia e un’identità culturale per l’Europa secolarizzata. La secolarizzazione non è un processo inarrestabile o un destino dell’occidente. Tutto finisce. Finirà pure la secolarizzazione. Ne sono stati convinti gli ultimi due Pontefici. Sono stati loro che hanno rilanciato l’urgenza di rievangelizzare il vecchio Continente. Infatti, l’edificazione della casa comune europea, secondo Benedetto XVI, sortirà un buon esito se questo Continente sarà consapevole delle proprie fondamenta cristiane e se continuerà ad avere nel Vangelo il fermento della sua civiltà. Deve venire, però, qualcosa di intelligentemente dirompente e di politicamente originale che sia di ampie prospettive e di lungo respiro. Ci si deve occupare di nuovo del nostro paese e, per quanto possibile, dell’intera umanità. Il mondo cattolico ha un vissuto e risorse per farlo. Si costruirà la globalizzazione del bene comune se insieme alle radici si avranno anche le ali, senza avventurismi. La sfida culturale oggi è quella di trovare un cuore e un’anima dentro la globalizzazione. Occorre volar alto, tornare a pensare in grande. Riprendere a pensare per riappropriarsi di quelle idee forti, figlie di convinzioni forti, orbitanti attorno alle “verità” forti. I cattolici, come lievito nella massa, (cfr. Umberto Muratore. Evangelizzare oggi, in una visione rosminiana , Stresa (VB), 2007) dovranno essere in grado di fare una rivoluzione culturale ed etica, dando esempio sui principi forti e sulla fede negli ideali veri. La sfida è fortemente impegnativa, bisogna provarci. Occorre considerare il proprio essere cristiani e valutare se si è veramente alla ricerca del bene comune, se si opera per riaccendere la speranza di vivere in un mondo che combatte ogni forma di male, oppure se con esso, supinamente, si è rassegnati a convivere. La realtà è quella che è. Non si può pensare che le soluzioni vengano dall’alto e dagli altri. Il territorio va inteso come casa comune e, pertanto, chi vi abita ha il dovere di tenerlo ordinato e pulito, lasciandolo migliore di come l’ha trovato. Il cattolico, quindi , sull’esempio di Gesù, che per il bene dell’umanità offre la sua vita, deve avere la capacità di sentire come proprio il male del mondo. Senza calcoli e senza interessi, si rimboccherà le maniche e porrà in essere politiche buone. È bene ricordare che politiche sono le azioni che si riferiscono nel tempo storico alla polis, cioè alla comunità vivente a cui si appartiene. Elaborerà strategie non solo in chiave nazionale ma anche europea se non globale. In tutte le questioni importanti, occorre tener presente la dimensione mondiale per pervenire a una felice convivenza degli uomini sul nostro pianeta. Oggi, più del passato, esiste la reale possibilità di estendere a tutti gli esseri umani i benefici della civiltà. Molti contemporanei aspirano ad una vita piena e libera per tutti e una unione solida e profonda fra i popoli (cfr. Gs, 9). Gli uomini che diventano sempre più interdipendenti fra di loro, aspirano ad un mondo sempre più unificato (ivi, 24-26). La libertà, l’uguaglianza, la solidarietà, la giustizia e l’amore vengono messi in relazione con tutta l’umanità. Il vento dello Spirito Santo sta tornando a soffiare forte nella Chiesa. Infatti, si avverte da più parti un grande bisogno di spiritualità e di formazione, di luoghi di confronto, di itinerari di riflessione e approfondimento per i cristiani impegnati in politica, al di là delle appartenenze. Si sta prendendo coscienza che così non si può continuare. Dovrà essere rilanciato un movimento di cattolici dalle facce nuove, dotati di fede incrollabile, di profonda spiritualità, di solida dottrina, di obbedienza al magistero della Chiesa. Onesti cittadini, cioè, che profumano di valori evangelici e che sanno riaccendere speranze. Si avverte il bisogno di un nuovo cantiere per il cattolicesimo politico. Il ceto politico va rinnovato dal basso. Non c’è stata, fino ad ora, quell’innovazione che si era prospettata dopo le vicende del “mani pulite”. Ci troviamo di fronte alla cosiddetta zona grigia che rende impermeabile la politica del confronto democratico. Le comunità cristiane non perdino tempo. Si riattivino al più presto per preparare persone competenti che si impegnino a gestire il bene comune con onestà, rettitudine e giustizia. Educhino al dovere della partecipazione e della corresponsabilità. Curino la dignità e la responsabilità del laico nel rispondere alla sua vocazione. Chi si impegna in politica deve avere competenza professionale, passione civile, spirito di servizio, amore per la libertà e la convivenza di tutti senza distinzioni. L’impegno per la costruzione del bene comune anche attraverso l’impegno in politica, richiede un rinnovato contributo dei cattolici. Non è tempo di disimpegno, di piagnistei e di lamentele. L’acquiscienza è sempre colpevole. C’è in atto una grave emergenza morale, politica e istituzionale. La Chiesa non può stare a guardare o a bacchettare. Il nostro Belpaese non era mai caduto così in basso e così a lungo. In che paese viviamo? Che ceto politico abbiamo? “L’Italietta” dà l’impressione di voler restare un paese provinciale, infognato in un’interminabile lotta intestina. Il tessuto sociale è fortemente sfilacciato se non disfatto. Non c’è pudore per comportamenti scandalosamente sbagliati. I disvalori vengono spudoratamente ostentati, arrogantemente proposti, ed esaltati. Il cinismo è diventato valore. La demagogia lusinga le speranze del popolo con vane promesse. Il malcostume imperversa nel linguaggio politico e mediatico. La volgarità e la banalità (a volte turpiloquio), errori ed orrori, si consumano nell’insensibilità generale. L’insulto ha preso il posto del ragionamento. L’aggressione sostituisce il confronto. L’ italico malvezzo, non ha nessun rispetto per l’avversario politico, visto soltanto come nemico da demonizzare o da eliminare con le potenti armi mediatiche. Tanti vescovi italiani hanno espresso disagio per l’attuale situazione socio-politica nostrana, facendo notare che il paese è spesso confuso e deluso dai temi e dai toni del dibattito pubblico. La crisi, però, può diventare un’occasione di maturo discernimento e di nuova progettualità. Da dove far ripartire l’Italia, allora? Per noi, la forza del riscatto va presa dall’ “umanesimo cristiano”. I cattolici in politica si dovranno muovere nella direzione della “teologia del dono” (Giovanni Paolo II), portando questo stile di vita nella società moderna, nella politica e nel mercato senza regole e senza etica. Il loro germe di cambiamento dovrà essere sale che insaporirà la società del consumo e del profitto, amari frutti del capitalismo inumano. Imitando Cristo, dono del Padre, si sentiranno dono, si vivranno come gratuità, assumendo lo stile della condivisione. Lavoreranno per lo sviluppo umano integrale e solidale. Avendo nel Dna la coesistenza delle culture, i cattolici non hanno nemici, ma solo avversari. Non vogliono andare contro qualcuno o qualcosa. Per questo, portano la cultura dell’incontro e non dello scontro. Costruiscono ponti e non muri. Rispettano tutti, pregano per i politici e i governanti, non indulgono a litigare o a lanciare insulti, presentano progetti, profondendo sforzi per il bene del paese. Promuovono un’autentica convivenza umana, per evitare le prepotenze di alcuni e facilitare il dialogo costruttivo per il necessario consenso sociale. Il vero impegno sociale è quello che scaturisce dal vero bene della persona. Per questo loro devono essere al servizio della dignità umana. L’esercizio della democrazia ha l’obbligo di rispettare i principi etici e morali vincolanti per la promozione del bene comune. La sana politica prescinde dall’ideologia. Cerca il bene comune, attraverso modi efficaci di convivenza, eliminando interessi particolari o di gruppi. I fondamenti antropologici, ricordati ultimamente dal Cardinale Angelo Bagnasco, «La dignità della persona umana; l’incomprimibile rispetto a qualsiasi condizionamento; l’indisponibilità della vita, dal concepimento fino alla morte naturale; la libertà religiosa e la libertà educativa e scolastica; la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna», sono un patrimonio di valori che la stessa ragione e il senso comune possono riconoscere e condividere. Infatti, anche la Costituzione italiana, nella quale essi sono presenti, li indica quali riferimenti fondamentali per la convivenza democratica. Occorre convenire sulla ragionevolezza dei summenzionati valori e sul vantaggio che da essi deriva per una società a vera misura d’uomo. Se tali valori venissero a mancare, anche con voto di maggioranza, le leggi che ne deriverebbero sarebbero ingiuste. Va ricordato che le norme (direttive concrete di comportamento), dovrebbero garantire l’attuazione dei valori (orientamenti generali e vincolanti). La politica non coincide con la morale, ma non può esserne separata. I cattolici affermano il primato della legge morale perché, per loro, al di sopra di ogni legge umana, giusta o ingiusta, c’è la legge di Dio, quel progetto, cioè, che il Creatore ha inscritto nel cuore di ogni uomo. Per questo la Chiesa vuol ritornare ad educare alla legge di Dio e ai comandamenti. Oggi, parlare di doveri è, impopolare, ma bisogna farlo. Si fa consistere la felicità col proprio comodo, per cui ogni desiderio coincide con un diritto. Le radici dell’illegalità risiedono soprattutto nella mancanza di una morale secondo verità. Senza morale non si costruirà mai futuro. È essa, infatti, che responsabilizza ed impegna a rispettare la legge, in quanto fa sorgere nella persona una forza interiore che lo spinge ad osservare le norme. Solo l’etica dei valori potrà contrastare la deriva individualistica. Il cristianesimo non è una morale ma una sconvolgente liberazione da ogni male schiavizzante. La competenza della Chiesa, maestra di fede e di morale, si estende secondo il mandato di Gesù, al campo della verità rivelata e a quello della legge naturale. Lo stato, pur distinto ed autonomo dalla Chiesa, non ha diritto di legiferare contro la fede. Non ha neppure il diritto di legiferare contro l’espressione pubblica della morale naturale, perché la legge morale viene prima dello stato e da esso non può essere contraddetta. Essa è oggettivamente ed universalmente valida. Nell’era della globalizzazione, una delle realtà da recuperare è il senso della vita che non può essere affidato alla decisione di pochi tecnici. Il diritto alla vita non è “concesso” dallo stato. Pertanto, non può rivendicare per sé la decisione di far vivere o morire. Nessuno è padrone della vita. Nemmeno chi detiene il potere politico può comandare in questo campo. I politici cattolici, continuatori del popolarismo di Sturzo, ispirati ai principi evangelici, danno il loro contributo per la costruzione della “città terrena” con la loro tipicità. Con i loro valori potranno costruire una società nuova, aperta alla partecipazione e alla fraternità universale. Con coerenza e credibilità danno attenzione al mondo, alla storia, alle esigenze sempre nuove dell’uomo contemporaneo, leggendo la realtà alla luce del Vangelo. La loro missione politica è espletata per la promozione di un progresso autenticamente umano. Leggono con sguardo sapienziale la realtà cercando risposte sempre nuove con la forza trasformante dell’amore e della verità di Cristo. I cattolici sono fermento e profezia dentro la storia se saranno costruttori di comunione, secondo gli insegnamenti dei Pastori. Possono dire e dare molto potendo contare sulla dottrina sociale della Chiesa. Saranno irremovibili sui valori non disponibili. Per questo, su argomenti quali eutanasia, aborto, procreazione assistita, sacralità della vita, saranno visti con insofferenza, in quanto portatori di verità non negoziabili. Dovranno essere capaci disupportare a sufficienza questi valori con argomentazioni razionali e laiche. Come ricorda il Concilio Vaticano II, l’incontro con l’esperienza di Gesù, il Crocifisso Risorto, svela pienamente l’identità dell’essere umano e rende evidenti i valori che costituiscono la base indispensabile per realizzare la propria vocazione nella comunione con gli altri. Continuano a lavorare sui grandi valori iscritti “nel cuore di ogni uomo”. Quei valori che la ragione sa riconoscere e che la fede in Gesù Cristo illumina con il comandamento dell’amore. Si torna a parlare più frequentemente del bene comune nonostante una politica fatta spesso di insulti e dall’affermazione d’interessi di parte. Il bene comune è tra i più centrali della dottrina sociale della Chiesa, ed il fine della politica, nella sua accezione più nobile. Con questo intervento anche noi parleremo diffusamente, riportando e commentando i pronunciamenti della Chiesa. È possibile la chiarezza terminologica? Certamente. Iniziamo allora a dire che alla luce della concezione personalizzata, la persona quale è essere sociale, non per scelta, ma per natura. Gli esseri umani hanno la vocazione a vivere in società, condividendo un insieme di beni da perseguire e di valori da difendere. È questo il bene comune che la Gaudium et Spes indica come “l’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani, nelle famiglie e nelle associazioni il conseguimento più pieno e più rapido della loro perfezione”. Il bene comune presuppone la salvaguardia dei diritti e doveri della persona (che sono universali ed inviolabili) e si esprime in tutte le realtà necessarie all’uomo per condurre una vita veramente umana. Per l’elenco di questi diritti ci rifacciamo all’insegnamento autorevole del successore di Pietro. Il Papa Giovanni Paolo II il 02-10-1979 alla XXIV Assemblea Generale dell’Onu ha elencato i diritti fondamentali che costituiscono la sostanza della dignità dell’essere umano. Per brevità li raggruppo in dieci passaggi. Secondo il Sommo Pontefice essi sono: 1. Il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona; 2. Il diritto all’alimentazione, all’abbigliamento, all’alloggio, alla salute, al riposo, agli svaghi; 3. Diritto alla libertà di espressione, all’educazione e alla cultura; 4. Diritto alla libertà di pensiero, di coscienza religiosa; 5. Diritto di scegliere il proprio stato di vita, di fondare una famiglia; 6. Diritto alla proprietà, al lavoro e al giusto salario; 7. Diritto di riunione e di associazione; 8. Diritto alla libertà di movimento e alla migrazione interna ed esterna; 9. Diritto alla nazionalità e alla residenza; 10. Diritto alla partecipazione politica, alla libertà di scelta del sistema politico del popolo al quale si appartiene. È comune perché può essere costruito e accresciuto solo comunitariamente, cioè dallo sforzo comune di un’intera società e di ciascun suo membro. Ciò che lo caratterizza è quello di essere bene di tutti e di ciascuno indivisibilmente, perché se è davvero un bene di tutti non può non essere di ciascuno e il bene vero di ciascuno non può confliggere con il bene di tutti. Il perseguimento del bene comune, quale “bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo” (Giovanni Paolo II) ha il suo criterio basilare in una politica per la persona e per la società. La nobile azione politica sta nella capacità di discernere il bene comune e di superare la tentazione di particolarismi. È “l’arte nobile e difficile per costruire il bene comune”, ovvero del bene di quel “Noi tutti, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale”. (Caritas in Veritate, n°7). A questo punto è lecito porsi due domande: 1. Il ceto politico dei nostri giorni è costituito da uomini che, con dirittura morale e competenza, sono in grado di garantire tutto questo? 2. Perché il dibattito politico è sempre più distante dai problemi reali quali disoccupazione, corruzione, salute, casa, giovani, energia, scuola, sanità, mafia, anziani, profughi, terremotati, alluvionati, territorio? Perché sono rimasti ai margini dell’agenda politica? Il governo non è da intendersi come capacità di comprendere e realizzare il bene comune, tradotto in leggi giuste e atti politici opportuni? Non ci si stanca mai di ricordare che il bene comune è molto più della somma del bene delle singole parti. “Non è il bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il loro bene”. (Caritas in Veritate, n° 7). C’è oggi più che mai la necessità di avere politici cattolici interessati al bene comune, testimoni di una buona amministrazione che privilegi anzitutto chi ne ha più bisogno. Purtroppo il termine “bene comune” si trova oggi usato e abusato, in maniera bipartisan, dalle forze politiche. Nel documento della Cei: “Per un Paese solidale, Chiesa italiana e Mezzogiorno”, si riportano le parole del Sommo Pontefice al IV convegno ecclesiastico nazionale di Verona, quando dice che ai fedeli laici, in particolare, è affidata una missione propria nei diversi settori dell’agire sociale e nella politica. Ecco le parole: «Il compito immediato di agire in ambito politico per costruire un giusto ordine nella società non è dunque della Chiesa come tale, ma dei fedeli laici, che operano come cittadini sotto propria responsabilità: si tratta di un compito della più grande importanza, al quale i cristiani laici italiani sono chiamati a dedicarsi con generosità e con coraggio, illuminati dalla fede e dal magistero della Chiesa e animati dalla carità di Cristo». È questo il bene comune, è questo l’impegno dei cattolici. È questa la “missione” a cui si è chiamati, con lucida determinazione. Chiarisce ulteriormente l’altra definizione della Gaudium et Spes: “ Il bene comune è l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente. Esso investe diritti e doveri che riguardano l’intero genere umano. Pertanto ogni gruppo deve tener conto dei bisogni e delle legittime aspirazioni degli altri gruppi, anzi del bene comune dell’intera famiglia umana”. (Gs, n°26). Esso, quindi, non è tanto una questione materiale orientata ad assicurare a tutti i beni necessari, ma è una questione essenzialmente etica, che coinvolge l’uomo, la sua coscienza e la sua moralità. Il bene comune è la difesa e la promozione dell’uomo e presuppone “sussidiarietà” nonché l’interdipendenza tra stato, società e mercato. Ecco alcune esigenze del bene comune secondo il Magistero: “essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro”(Gs, 164). “È il bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo” (Cristifideles Laici, n° 42). Esige “che siano resi accessibili all’uomo tutte quelle cose che sono necessarie a condurre una vita veramente umana” (Gs, 26). Ricerca “ il ben di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti” (Sollecitudo rei socialis, 38). Comprende anche la dimensione economica pur non esaurendosi in essa. Il bene comune comporta l’intreccio ordinato dei tre profili irrinunciabili dello sviluppo: economico, sociale e umano. Il politico cattolico crede nell’efficacia della dottrina sociale nella società contemporanea. Anche se onestamente bisogna ammettere che la voce della Chiesa fatica a far sentire nel dibattito generale su tematiche come la questione etica nella politica e nella società, la morale sessuale e il corretto utilizzo delle ricchezze e delle risorse. Va constatato con amarezza che i principi cristiani di equità, uguaglianza e giustizia sono caduti nel dimenticatoio. Non c’è attenzione per le fasce più deboli, per le popolazioni che hanno maggiori necessità, mentre i ricchi scandalosamente ostentano la loro ricchezza. Ci sono tentativi da parte di alcuni a seminare dubbi e diffidenze sull’efficacia della dottrina sociale, perché considerata astrattamente statica e senza forza critica. Ci vuole, allora, una prassi che incarni i principi del ricco e complesso patrimonio denominato dottrina sociale o insegnamento sociale della Chiesa. Un appello forte e costante, questo, dell’attuale Pontefice Benedetto XVI, come lo stesso avevano fatti i suoi predecessori, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e i Padri del Concilio Vaticano II. Dal pensiero dei Pontefici e dal Concilio traspare l’intento di ottenere che, attraverso l’azione sociale cristiana, la presenza della Chiesa nella storia rispecchi la presenza di Cristo che trasforma i cuori e le strutture ingiuste create dagli uomini. L’impegno sociale del cattolico non è, quindi, un optional ma l’espressione di una “realtà matura” e di una educazione umano-cristiano compiuta. Il “fine proprio” dello stato è quello di “attuare il bene comune temporale” (Dh, n°3). Però va anche detto che il temporale e il trascendente non sono due sfere del tutto separate. (Concezione laicistica del bene comune). Oggi, ahimè, sta passando il concetto che il bene comune statale non includa affatto la promozione della religione, ma comporta la piena indifferenza nei suoi confronti. Aleggia, in Europa, il mito della “neutralità religiosa”. Lo stato non può servire al bene comune e allo sviluppo dei suoi cittadini quando è completamente indifferente nei confronti della religione. Infatti, “deve quindi la potestà civile assicurare a tutti i cittadini con le leggi giuste e con altri mezzi idonei, l’efficace tutela della libertà religiosa, e creare condizioni propizie per favorire la vita religiosa, cosicchè i cittadini sono realmente in grado di esercitare i diritti attinenti la religione e adempiere i rispettivi doveri, e la società goda dei beni di giustizia e di pace che provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e la sua volontà” (Dh, 6). Libertà civili e religiose camminano di pari passo. La dimensione religiosa è un’istanza fondamentale dell’uomo. Nell’era digitale e della globalizzazione non esiste più un bene statale autonomo, pienamente autosufficiente e indipendente dei singoli stati. Essi sono dipendenti gli uni degli altri. Ognuno di essi può raggiungere il proprio bene comune solo se collabora con gli altri e persegue il bene comune di tutta la comunità dei popoli. Il Concilio Vaticano II dice a proposito di quest’evoluzione: “Dall’interdipendenza sempre più stretta e pian piano estesa al mondo intero, deriva che il bene comune … oggi vieppiù diventa universale, investendo diritti e doveri, che riguardano l’intero genere umano. Pertanto ogni gruppo deve tener conto dei bisogni e delle legittime aspettative degli altri gruppi. Anzi del bene comune dell’intera famiglia umana” (Gs, 26). Il singolo e il bene del singolo posseggono una certa preminenza sulla comunità e sul bene comune anche nel campo delle realtà terrene. La persona umana è “Principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali” (Gs, 25; cfr. Gs 63). L’uomo è “in terra la sola creatura che Dio abbia voluta per se stessa” (Gs 24). Invece la comunità non esiste per se stessa ma per l’uomo. “L’ordinazione sociale e il suo progresso debbono sempre lasciare prevalere il bene delle persone, giacchè nell’ordine le cose ci si deve adeguare all’ordine delle persone e non al contrario”(Gs 26) (cfr. Anselm Günthor, Chiamata e risposta, una nuova teologia morale. Edizioni paoline, vol. III, Alba, 1977,pp. 129-138.) A mio sommesso parere, manca ancora la percezione matura dello stato al servizio dei cittadini. La politica non si sottomette ai fini universali del bene comune. Persiste l’idea che tutto quello che è struttura pubblica non è al servizio della comunità, ma è la comunità al servizio di quella struttura. Per non restare nelle accuse colpevolmente, generi, proviamo a calarci nella nostra realtà per prendere consapevolezza di come stanno le cose. Oggi, si nota che, nel sistema politico italiano, tanti individui sono legati insieme da situazioni che esulano dal bene comune. I nuovi movimenti politici il più delle volte non amministrano la cosa pubblica per il raggiungimento del bene comune, ma per oscuri interessi di parte, incomprensibile alla maggioranza della popolazione. Si trovano amministrazioni opache, quando non palesemente corrotte, che hanno dissipato risorse per gestire clientele. Domandiamoci: perché l’alta velocità si ferma in Campania? Perché al Sud non ci sono autostrade degne di questo nome? Perché al Nord c’è un aeroporto ogni 50 chilometri e al Sud no? Perché esistono treni e ferrovie decenti solo al Centro Nord? Perché Matera, capoluogo di provincia, non è raggiungibile dalla ferrovia? Quando la politica viene intesa come voto di scambio e clientelismo, lavora per il bene comune? Questo fenomeno esiste ovunque, però, nel mezzogiorno ha eccessi patologici. Ancora, perché le scuole non si fanno per gli alunni ma per i docenti in sovrannumero che devono insegnare? E perché gli ospedali non servono per gli ammalati ma per i medici e i portantini? Perché l’alta percentuale di malasanità? Perché il diritto alla salute è messo costantemente in discussione? Non erogando una qualificata ed efficiente assistenza sanitaria ai cittadini? Perché non si scalfisce la criminalità con il suo consolidato sistema di malaffare? Perché esiste ancora un alto tasso di disoccupazione e un’immigrazione di non ritorno? Si realizza il bene comune quando la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici accumulano ordinariamente notevoli ritardi? Perché il Meridione arranca? Dalla scuola alla sanità, dalla giustizia ai servizi pubblici locali. I divari, riconducibili ai modelli organizzativi e alla regolamentazione, riguardano servizi offerti a livello centrale (istruzione e giustizia), regionale (sanità) e locale (trasporti locali, rifiuti, acqua, asilo nido, distribuzione del gas). Questi esempi sono sufficienti per dimostrare che la strada per la realizzazione della giustizia e del bene comune è ancora lunga. I diritti sono sempre diritti e non devono dipendere dall’area geografica in cui si è nati. La dottrina sociale della Chiesa con il Concilio e col Magistero sociale di tutti i successivi Papi (da Giovanni XXIII all’attuale), per fortuna, si è rafforzata e chiarita. Fa bene la Chiesa a riproporla. Ce n’è bisogno. Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, pubblicato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace nel 2004 dalla Libreria Editrice Vaticana, afferma: “Il principio della destinazione universale dei beni della terra, è alla base del diritto universale all’uso dei beni. Ogni uomo deve avere la possibilità di usufruire del benessere necessario al suo pieno sviluppo: il principio dell’uso comune dei beni è il “primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale” e “ principio tipico della dottrina sociale cristiana”…Tutti gli altri diritti, di qualunque genere, ivi compresi quelli della proprietà e del libero commercio, sono subordinati ad essa (destinazione universale dei beni): non devono quindi intralciarne, ed è un dovere sociale, grave e urgente restituirli alla loro finalità originaria” (n° 172). “L’insegnamento sociale della Chiesa esorta a riconoscere la funzione sociale di qualsiasi forma di possesso privato, con il chiaro riferimento alle esigenze imprescindibili del bene comune. L’uomo “deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non unicamente come sue proprie, ma anche come comuni, nel senso che possono essere utili non solo a lui ma anche agli altri”. La destinazione universale dei beni comporta dei vincoli sul loro uso da parte dei legittimi proprietari. La singola persona non può operare a prescindere dagli effetti dell’uso delle proprie risorse, ma deve agire in modo da perseguire, oltre che il vantaggio personale e familiare, anche il bene comune” (n° 178). “Di fronte al concreto rischio di una “idolatria” del mercato, la dottrina sociale della Chiesa ne sottolinea il limite, facilmente rilevabile nella sua constatata incapacità di soddisfare esigenze umane importanti” (n°349). Tale visione afferma lo spiritualismo di un umanesimo planetario e il solidarismo della fraternità universale. E tutto l’ampio orizzonte della Chiesa sta appunto a dimostrare che non può esistere una fede viva e matura che non senta il richiamo e la responsabilità nei confronti della società tutta e del mondo intero. È obbligatorio tornare alla categoria del bene comune. È altamente meritorio tornare ad educare, con la parola e con l’esempio, al senso del bene comune, alla responsabilità di tutti, alle regole della convivenza. Il primo grado di impegno sociale è la ricostituzione del senso civico che è il senso dei doveri e non solo dei diritti. Si chiama così il principio di sussidiarietà, inseparabile da quello di solidarietà (se ne tratterà prossimamente dalle colonne del nostro giornale). Il cattolico non solo spende ma si spende per i suoi ideali. Si impegna nella società per la giustizia e la trasformazione del mondo. Questo è costitutivo dell’evangelizzazione. Già lo diceva nel 1975 Paolo VI : si tratta di “raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza” (Evangeli Nuntiandi). A quanti sono impegnati nella vita politica e sociale , Benedetto XVI ribadisce: «L’evangelizzazione e la diffusione della Parola di Dio devono ispirare la loro azione nel mondo della ricerca del vero bene di tutti, nel rispetto e nella promozione della dignità di ogni persona. Certo, non è compito diretto della Chiesa creare una società più giusta,anche se a lei spetta il diritto e dovere di intervenire sulle questioni etiche e morali che riguardano il bene delle persone e dei popoli. È soprattutto compito dei fedeli laici, educati alla scuola del Vangelo, intervenire direttamente nell’azione sociale e politica” (Esortazione apostolica post sinodale, Verbum Domini, 30.09.2010, n° 100). Concludendo, diciamo che il problema, allora, è di promuovere un’adeguata formazione secondo i principi della dottrina sociale della Chiesa. Non diamoli per scontati. Se la giustizia sociale, da tutti sbandierata, non produce fatti conseguenti, non solo diventa parola vuota ma fa anche crescere l’indignazione e la rabbiosa protesta. Le ingiustizie alimentano, a volte, anche la spirale della violenza. La gente ha nausea della demagogia. Vuole fatti e non proclami. Non crede più alle promesse. Occorre cambiare registro, voltare pagina se si vuole recuperare tutti all’interesse della “cosa pubblica”. Questi sono i tempi della responsabilità e non della retorica, della ripresa e non dell’attesa per imprimere un nuovo dinamismo alla dottrina sociale. Infatti, l’inarrestabile vento del cambiamento passa attraverso il cattolicesimo politico.