VITTADINI/ Un
soggetto nuovo per il bene comune dell’Italia
Giorgio Vittadini al 40o meeting di Rimini |
Desidero riproporre all’attenzione, il discorso che Giorgio
Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, di Comunione e
Liberazione, ha tenuto nella sessione introduttiva del 40° Meeting
internazionale di Rimini dello scorso 18 agosto.
E’, a mio avviso, un
importante testo di riflessione da cui ripartire per un rinnovato impegno
sociale e culturale anche sul nostro territorio locale.
Ruolo della sussidiarietà effettiva, corpi sociali, sinergia tra
organizzazioni, formazione e bene comune non idea astratta ma concreta
prospettiva di vita….
Ivan Simeone
Da Il Sussidiario del
18.08.2019
www.ilsussidiario.net
Ci troviamo al termine
di un lungo tragitto che ha portato a una grave crisi istituzionale, da cui non
sappiamo ancora come usciremo. Questo capita in un momento storico
particolarmente delicato per la lunga crisi, non solo economica, ma anche di
assetto del Paese che attraversiamo ormai da quasi trent’anni.
L’Italia
sembra bloccata in una crisi di identità e in un’astenia preoccupante. Disincanto e
scetticismo sono palpabili, ma si avverte la frustrazione e la rabbia, anche
comprensibile, delle persone. Ma dietro il rancore c’è un disagio e dietro il
disagio sempre più spesso c’è solitudine, isolamento, impoverimento dei
rapporti e dei legami.
Il tarlo disgregante ha da tempo cominciato a insinuare l’idea che gli altri, i
diversi sono sempre il male assoluto. Non c’è nulla nell’altro che possa essere
utile al mio bene. Al punto da arrivare a credere che si potrebbe stare meglio
se si eliminasse chi è più storto o più dritto, più povero o più ricco.
Il nostro Paese può
essere paragonato a un territorio dalla natura rigogliosa che si sta
desertificando. In particolare, stiamo assistendo a un impoverimento di quel
tessuto di realtà associative, di aggregazioni che storicamente aveva creato
un’unità di popolo ancora prima dell’unità della nazione.
Perché
si è iniziato a fare così fatica a coinvolgersi in progetti per il bene comune?
Qual è il punto da cui ricominciare? Serve
un nuovo modo di conoscere, che non si riduca all’analisi, ma sappia guardare
più a fondo la realtà, usare lo sguardo, stupirsi. Questo fa sì che
possiamo non essere persone senza volto, o figure anonime, come dice papa Francesco commentando il titolo
del Meeting, ma persone che sanno guardare, stupirsi e trovano in questo la
loro identità.
Quello che le analisi
economiche non possono cogliere, perché non è prevedibile, è la scintilla di
fronte a situazioni concrete che genera la voglia e la capacità di andare
avanti, di rischiare. Come ha scritto
don Julián Carrón, “la questione fondamentale è identificare dove si genera un
soggetto adulto, in grado di creare un’espressione culturale all’altezza della
sfida dei tempi che viviamo”. Rimane centrale quindi la “sfida educativa”, a
tutti i livelli.
Che cosa riguarda
ultimamente una sfida del genere? Riguarda la crescita dell’autocoscienza
personale, la maturazione della ragione, dell’affezione, della libertà. Ma come
sappiamo, questo può accadere se si accetta di aprirsi, di conoscere, di
entrare nel merito, mettere le mani in pasta, rischiare di sbagliare.
Senza questo non c’è
nemmeno creatività, non c’è capacità di individuare soluzioni nuove a problemi
complessi, come quelli che deve affrontare la società contemporanea. Ripartire dalla persona e dalla comunità,
come
abbiamo sentito dal Presidente Mattarella. Queste realtà, come i movimenti (in
origine erano quello cattolico e quello operaio), associazioni, partiti,
sindacati, lungo la storia, ha aiutato i singoli a incontrarsi, a confrontarsi,
a conoscere, ad approfondire, a porsi domande. Soprattutto ha sostenuto i loro
desideri, i loro ideali, la loro capacità di iniziativa contro la tentazione di
immeschinirsi.
Oggi
più che mai si sente il bisogno di realtà che sostengano ogni “io” a riprendere
consapevolezza, motivazione, fiducia. Si possono fare tutte le riforme che si
vogliono, ma senza educazione delle persone non può esserci cambiamento nemmeno
delle istituzioni.
Qui al Meeting abbiamo
tantissimi esempi di apertura fiduciosa alla realtà. Riguardano ad esempio
scuole di istruzione e formazione professionale e altre opere educative di ogni
genere, associazioni di imprese, imprese, Ong, associazioni in campo
ambientale, socio-assistenziale e sanitario, il Banco Alimentare, che ha appena
celebrato i suoi 30 anni.
Non
serve moltiplicare le leggi. Servono fatti di vita nuova subito. Fatti di
rivitalizzazione di realtà aggregative subito. Sostenere
la partecipazione dei cittadini “dal basso” significa sostenere la maturazione
personale e civile degli individui. Bisogna essere consapevoli del fatto che
senza corpi intermedi saremmo un Paese ancora più spaccato di quello che è.
Ogni realtà sociale ha oggi una grande responsabilità: quella di educare alla
responsabilità, oltre che alla solidarietà. La sussidiarietà è innanzitutto
un’esigenza educativa.
Perciò il futuro del
nostro Paese si giocherà soprattutto su un punto: che rinascano ambiti in cui
le persone possano tornare a essere aiutate a vivere una giusta dimensione
sociale. Pur in un clima di disinteresse generale, ci sono ancora spazi per chi
è spinto a interessarsi dei problemi del Paese. Non è tutto perso. Ma perché si
arrivi a questo servono luoghi di confronto, di dialogo, di riflessione.
Quali
sono gli obiettivi da raggiungere?
Primo: l’educazione. Serve un sistema pluralista, fatto
di autonomia e parità per la scuola. Un sistema formativo che insegni un
mestiere a chi spesso non ha prospettive, visto che oggi ci sono molti posti di
lavoro che rimangono vuoti perché non c’è chi è pronto e preparato a occuparli.
Serve investire di più nella ricerca e per l’università.
Secondo: il lavoro. La carenza di lavoro, insieme alla
sua precarizzazione, è il grande dramma di questi anni nelle società
sviluppate. Colpisce i più fragili e i giovani. Bisogna comprendere che il
lavoro, cioè la spinta e l’impegno a trasformare la realtà, è ciò che più ci fa
scoprire chi siamo e che cosa stiamo a fare al mondo. Parlare di sviluppo senza
occupazione (che significa profitto solo per pochi) è un attentato alla stessa
dignità delle persone. L’iniziativa degli individui attraverso il lavoro è il
motore di un sistema sussidiario. Ci vogliono investimenti per lo sviluppo e
non spese solo assistenziali perché il lavoro c’è solo quando c’è sviluppo e le
imprese, piccole, medie e grandi, che hanno già svoltato, sono in grado di
reggere la globalizzazione.
Terzo: tutto ciò può accadere grazie alla diffusione di una cultura
sussidiaria.
Il grande impoverimento sociale e civile in cui viviamo può essere affrontato
solo ritrovando la vitalità delle comunità di base, luoghi in cui le persone
vengono aiutate a vivere una giusta dimensione ideale e sociale. Non c’è mai
stato un momento come questo dove sia così necessaria la sussidiarietà. Ma la
portata di questo principio è ancora più ampia. Stiamo continuamente trovando
interlocutori di diversa estrazione culturale che nella sussidiarietà vedono la
strada maestra per creare percorsi di convivenza nelle società pluraliste e
democratiche contemporanee.
Quarto obiettivo: sviluppo sostenibile. “Sostenibilità” è il
termine che da più di trent’anni si è cominciato a usare per affermare una cosa
molto semplice: lo scopo dello sviluppo è il bene comune, cioè una rinnovata
centralità della persona. Per questo non può esserci sostenibilità senza
sussidiarietà. E per questo non si può continuare a trascurare equità e
giustizia sociale, rispetto delle generazioni future e dell’ambiente. L’Onu ha
fissato 17 obiettivi di sostenibilità per il 2030. Senza questa centralità
della persona i 17 obiettivi rimangono generici.
Quinto obiettivo: la ripresa di una cultura politica guidata
verso una convergenza che aiuti a vedere ciò che c’è. Il bene comune non è
un’idea astratta, ma una prospettiva generale mutuata da esempi particolari che
funzionano. Prescindendo dalla conoscenza dei particolari concreti, il bene
comune diventa un’astrazione ideologica, magari anche in grado di proporre
grandi progetti, ma che nasceranno già lontani dalla vita delle persone.
Non possono esserci
risse continue. I 25 anni di risse continue della Seconda Repubblica hanno
portato allo sfascio. In un momento drammatico per la vita del Paese serve
ritrovare una corresponsabilità.