lunedì 14 ottobre 2013

“Non puoi fare una buona economia con una cattiva etica”. Una riflessione.



Anticipiamo la riflessione che verrà pubblicata sul "Notes Credito 2013", edito dalla Confartigianato Imprese Latina, in collaborazione con la Camera di Commercio, per il progetto "Credito e Impresa 2013".

“Non puoi fare una buona economia
con una cattiva etica”.
Oltre i numeri, quali prospettive ? Cosa fare ?

di Ivan Simeone


Premessa

Quando parliamo di credito e di finanziamenti per le imprese, mai come in questo momento storico, le riflessioni che si fanno sono fondamentalmente legate a due particolari aspetti: l’etica del credito/economica e il “come fare” ad accedere al credito bancario avendo, oggi, la Banca perso il suo valore di soggetto solidale ed essendo ormai una azienda che “deve fare profitto”.
E’ triste sentire direttori di Banca che dicono: “anche noi siamo una impresa e dobbiamo fare i nostri profitti”, cosa oggi (purtroppo) sacrosanta ma, nel medesimo momento, questi Direttori non sanno o non vogliono sapere quali sono state le origini della Banca e quale grande funzione sociale questa ha avuto nei secoli passati.
Andiamo oltre e cerchiamo di sintetizzare al massimo la riflessione.
L’ aspetto valoriale, che purtroppo è ormai retrò, è molto chiaro e possiamo analizzarlo andando a scomodare l’ultima enciclica di Benedetto XVI “Caritas in Veritate” ma anche andando a recuperare i vari documenti del magistero sociale della Chiesa o pensatori laici ed “eretici” come Ezra Pound o il cattolico, già socialista, Charles Péguy o, ancora, l’economista Beato Giuseppe Toniolo.

“La crisi non è solo economica, è anche etica, spirituale e umana…”

Nel 2009, con grande clamore mediatico e di recensioni, venne promulgata l’Enciclica “Caritas in Veritate”, a firma del Santo Padre Benedetto XVI. In realtà fu l’ultimo documento di una lunga serie di interventi, relazioni e atti, che sancirono un evidenziare l’attuale situazione di crisi e il mostrare una strada da percorrere per recuperare la via maestra. Come ogni cosa che viene dalla Chiesa, seppur il documento più realistico (ma certamente scomodo per i potenti), dopo un primo momento di grande risalto, viene messo “in sonno” dalla nomenklatura intellettualoide attuale e dal potere politico, il quale riesce ad utilizzare tali documenti solamente per interessanti (quanto inutili) convegni e seminari ma, di contro, non riesce a tramutare queste indicazioni in prassi quotidiana.

Nella CV, richiamandosi alle precedenti encicliche “sociali”, si analizza il momento sociale attuale, evidenziando una “reale diminuzione delle reti di sicurezza sociale in cambio della ricerca di maggiori vantaggi competitivi nel mercato globale, con grave pericolo per i diritti dei lavoratori, per i diritti fondamentali dell’uomo e per la solidarietà attuata nelle tradizionali forme dello Stato sociale” (CV 25). Ecco un primo grido di denuncia verso quelle scelte economiche e di bilancio, troppo spesso imposte da Istituzioni finanziarie internazionali lontane dalla nostra cultura solidale e spinte da ben altri interessi economici rispetto agli interessi del nostro Paese.
Qui registriamo una vera denunci di “appiattimento culturale” !

Ecco che nel punto 35 dell’ Enciclica, si evidenzia –rispetto al mercato-  l’esigenza di richiamarsi ad una giustizia distributiva e della giustizia sociale: “Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave”, per poi richiamare tutta l’azione economica al bene comune, richiamando tutte le organizzazioni produttive e sindacali ad una “civilizzazione dell’economia” attuale.
Nell’ Enciclica una parte è dedicata in maniera esplicita sia al mondo economico e finanziario e sia all’impresa stessa richiamandosi ad una importante “responsabilità sociale” della stessa.

Sono concetti forti e concreti ma che rischiano di cadere nell’oblio del “politically correct”. Una interessante ed utile edizione della “Caritas in Veritate” è quella edita da “ave” con contributi critici di diversi economisti: “Carità Globale – commento alla Caritas in Veritate”.

Una vera “guida all’economia” la possiamo anche trovare sfogliando le pagine del compendio della dottrina sociale della Chiesa Cattolica, ma certamente non è un testo alla moda e chi lo ha lo tiene ben riposto in biblioteca, magari in bella mostra perché è “in”.

Il Santo Padre Francesco (Papa Bergoglio), in un Suo intervento a Cagliari (22 settembre 2013) ha evidenziato come “la crisi economica ha una dimensione europea e globale; ma la crisi non è solo economica, è anche etica, spirituale e umana. Alla radice c’è un tradimento del bene comune, sia da parte di singoli che di gruppi di potere. È necessario quindi togliere centralità alla legge del profitto e della rendita e ricollocare al centro la persona e il bene comune. (…) va riconosciuto un grande merito a quegli imprenditori che, nonostante tutto, non hanno smesso di impegnarsi, di investire e di rischiare per garantire occupazione…”

Da Pound a Péguy

Interessante ed utile è anche andare a “scomodare” un economista certamente controcorrente e scomodo come Ezra Pound che ha dedicato diversi studi per denunciare, già negli anni passati, l’usura e una  certa finanza internazionale ed un potere “mondiale” (oggi si direbbe “globalizzato”) delle banche.
Sembra strano ma le teorie che all’epoca sembravano certamente inusuali e un po’ “eretiche” (certamente non in linea con i salotti buoni dell’economia attuale), oggi evidenziano un barlume di interesse e di attualità anche se il tutto rimane sempre sottotraccia.
Anche il più ortodosso Charles Péguy, approdato al cattolicesimo dopo una esperienza socialista, francese, ha posto in risalto, nel suo scritto “Il denaro” (1913) oggi divenuto un vero classico della letteratura francese, un modo diverso di approcciare il mondo del lavoro e delle stesse dinamiche economiche, dandogli un senso eticamente “alto”. Peguy parla sovente di “un disgusto senza fine per il lavoro mal fatto. Un disprezzo più da gran signore per chi avesse lavorato male…”
Potremmo poi andare a scomodare tutta l’esperienza dell’economia benedettina o concetti come “l’economia di comunione” tanto cara ad autorevoli economisti come Zamagni o Luigino Bruni, ma il discorso ci porterebbe molto lontano.

Prima di passare ad analizzare i “freddi numeri” ed immergerci nelle problematiche del vissuto, vorrei concludere richiamando le parole di Jòzef Tischner, sacerdote e docente di filosofia alla Pontificia Facoltà di Teologia di Cracovia, autore di diversi saggi tra cui “l’etica del lavoro e della solidarietà”, intellettuale di riferimento della famosa primavera polacca di Solidarnosc del 1981, quando ci rammenta che “il lavoro è l’asse della solidarietà (…) il dialogo del lavoro serve ad un fine fondamentale, serve alla vita. Non si può considerare l’aspetto etico del lavoro separatamente da quel valore che per l’uomo è la vita. (…) Gli uomini per lavorare e collaborare debbono essere nella verità….”

Immergiamoci ora nei numeri……

Credito, pressione fiscale e burocrazia le criticità

Le piccole imprese, le ditte artigiane sono in affanno. E’ questa una situazione ormai verificata e costantemente verificabile.
E’ questo un leitmotiv che si ripete da ormai diversi anni. I problemi sono molti, ma al primo posto vi sono certamente il difficile rapporto con il mondo bancario e la pressione fiscale eccessiva ed il peso della burocrazia.
Gli ultimi rapporti dell’ufficio studi di Confartigianato ci mostrano come per oltre un milione di PMI la pressione fiscale è di + 22,6% in un anno e le tasse costringono il 58% delle imprese a chiedere prestiti e dilazioni di pagamento, mentre il 61% rinuncia ad investire e ritarda i pagamenti dei fornitori. La situazione è d'un tratto sempre più difficile !
Un sondaggio ISPO/Confartigianato su un campione di imprenditori artigiani, condotto tra il 6 il 12 dicembre scorso, rivela che per il 74% delle imprese, pari a 1.067.214 aziende, negli ultimi 12 mesi la pressione fiscale è cresciuta in media del 22,6%.
La percentuale nazionale del 74% di imprese che dichiarano un aumento delle tasse viene addirittura superata nei casi delle imprese con dipendenti (79%), in quelle localizzate nel Nord Ovest (83%) e nel Mezzogiorno (80%), nelle aziende impegnate nel settore dei servizi alla persona (80%).
Il sondaggio mette in luce anche le pesanti conseguenze della crescita della pressione fiscale: il 33% degli imprenditori è stato costretto a ritardare il pagamento dei propri fornitori, mentre il 29% ha dovuto rinunciare a fare investimenti in azienda.
Per il 26% delle imprese l’accresciuto peso del fisco ha causato ritardi nel pagamento di alcune imposte. Effetti negativi anche sull’occupazione: il 16% delle imprese ha rinunciato ad assumere personale e il 14% ha dovuto licenziare dipendenti o ricorrere agli  ammortizzatori sociali.
In più, per fare il proprio dovere di contribuente, il 58% degli intervistati, pari a 615.000 aziende, deve ricorrere a prestiti bancari o è costretto a chiedere al fisco dilazioni di pagamento. 40.000 imprenditori non potranno pagare le imposte per mancanza di liquidità.
Ad opprimere i piccoli imprenditori italiani non è solo la quantità di tasse ma anche la complessità per pagarle. Il sondaggio rileva infatti che, in quest’ultimo anno, per il 57% degli imprenditori sono aumentati anche gli adempimenti burocratici in campo fiscale.
Il rapporto con la Pubblica Amministrazione.

La Pubblica amministrazione è sempre più lenta a pagare le imprese fornitrici di beni e servizi: nel 2012 il tempo medio è salito a 193 giorni. Tra maggio e novembre 2012 il ritardo con cui gli Enti pubblici (Amministrazione centrale, Regioni e Province) saldano le fatture alle imprese è aumentato di 54 giorni.
Per arginare il malcostume che legge costa 2,5 miliardi di maggiori oneri finanziari dei ‘cattivi pagatori’, dal primo gennaio sono entrate in vigore le norme che fissano a 30 giorni il termine ordinario per regolare i pagamenti tra Enti pubblici e aziende private e tra imprese private.
Il rapporto di Confartigianato rivela che la Pubblica Amministrazione ha accumulato debiti commerciali per 79 miliardi nei confronti dei fornitori. Di questi, 35,6 miliardi si riferiscono a debiti verso fornitori del Servizio Sanitario Nazionale.
Soprattutto le Asl hanno tempi medi di pagamento di 269 giorni che però arrivano a picchi di 793 giorni in Calabria, 755 giorni in Molise, 661 giorni in Campania, 398 giorni nel Lazio, 349 giorni in Puglia, 308 giorni in Sardegna. Nel complesso i tempi medi di pagamento delle Asl della Mezzogiorno sono di 425 giorni, più che doppi (+120%) rispetto ai 193 giorni medi delle Asl del Centro-Nord.
La Pubblica Amministrazione ha acquistato beni, servizi e investimenti fissi per 167,9 miliardi, pari al 10,6% del PIL. Più dei tre quarti (78,3%) degli acquisti della Pa per un valore di 131,5 miliardi, è determinato dalle Amministrazioni Locali, seguono le Amministrazioni Centrali con acquisti per 34 miliardi (20,3% del totale della Pa) e gli Enti previdenziali con 2,4 miliardi (1,4%).
A livello regionale, dei 146,3 miliardi di euro di spesa, 98,1 miliardi sono assorbiti dal Centro-Nord (67,0%) e 48,3 miliardi dal Mezzogiorno (33,0%).

Una boccata di ossigeno dai Confidi

Riguardo all’ “emergenza credito”, bisogna evidenziare che oggi una “boccata di ossigeno” giunge solo grazie al supporto dei Confidi, strumenti che necessariamente devono essere realmente e concretamente supportati dalle Istituzioni.
Come ben si sa, oggi la domanda di credito è ufficialmente e statisticamente divenuta “bassa” rispetto agli anni scorsi, a fronte di una pesante esigenza creditizia reale. Ciò è dovuto da una sostanziale sfiducia nel sistema bancario ; un sintomo pericoloso poiché dinanzi all’esigenza impellente di liquidità, le aziende familiari, le piccole attività rischiano di doversi rivolgere a canali “alternativi e informali”, con tutto il rischio che ne deriva.
L’ Ufficio credito della Confartigianato di Latina, oggi riesce ancora ad essere punto di riferimento grazie ad una rete di operatori istituzionali di supporto, come Artigiancassa o gli Istituti bancari prevalentemente di prossimità convenzionati, il tutto accompagnato da una approfondita azione di consulenza personalizzata, che viene fatta a monte dell’operazione creditizia.
L’ ufficio credito di Confartigianato Latina, tra il 2009-2011, ha erogato oltre cinque milioni di euro alle piccole imprese locali, prevalentemente nell’area di Latina città e poi in ordine nel sud pontino e nel nord della provincia. Riguardo alla tipologia di finanziamenti, vediamo che il 21,57% sono stati erogati per liquidità, il 6,4% per fidi e il 6,4% per start up, il 13,31% come fondo governativo antiusura, il 13,90 % per leasing, il 3,75% per consolidamenti, il 19,47 % per acquisto di attrezzature e il 15,2 % per acquisto di scorte.
Per acquisto di immobili commerciali ed artigianali, Confartigianato, nel triennio 2009-2011, ha seguito –tramite le proprie banche convenzionate-  pratiche di mutuo per oltre 2.424.000,00 euro.

Altro dato interessante è l’utilizzo stesso del confidi.

Tra il 2008 e il 2009 il confidi si è reso necessario per circa il 23% delle imprese richiedenti, mentre tra il 2011 e il 2012, il ricorso al confidi si è reso necessario per l’ 84% delle imprese richiedenti. Questo dato evidenzia sia il momento di criticità del nostro tessuto economico e lo stato delle nostre imprese locali, ma anche le maggiori richieste di garanzie da parte degli istituti di credito.

Confartigianato, nonostante i momenti di difficoltà, continua il suo impegno.

Nel 2012, fino a tutto ottobre 2012, il 10% degli attuali investimenti erogati alle imprese locali, è stato per consolidamento, il 30% per investimento, 10% di fidi e il 50% per scorte. 
Il 2013 ha continuato il suo stato di problematicità e molte situazioni hanno raggiunto livelli di forte criticità.


Imprese nella morsa di credito

Sempre seguendo il filone delle criticità, in ambito creditizio, legate ai debiti con e verso le PA, possiamo evidenziare come sempre meno è concesso credito alle imprese italiane: tra maggio 2012 e maggio 2013 (dati dell’m Ufficio studi nazionale della Confartigianato) i prestiti bancari alle aziende sono diminuiti di 41,5 miliardi di euro, pari al -4,2%. Contemporaneamente il debito accumulato dalla Pubblica amministrazione verso le imprese ammonta a 91 miliardi.
Lo rileva un rapporto di Confartigianato che ha ‘misurato’ la crisi di liquidità che soffoca gli imprenditori italiani: da una parte i finanziamenti bancari sempre più scarsi e costosi, dall’altra i mancati pagamenti della Pubblica amministrazione che non onora i propri debiti. Una morsa che sta stritolando le nostre imprese.
Al calo della quantità di finanziamenti al sistema produttivo si accompagna l’aumento dei tassi di interesse. Secondo Confartigianato, a maggio 2013 il tasso medio per i prestiti fino a 1 milione di euro è del 4,36% ma sale al 4,85% per i prestiti fino a 250.000 euro.
Con questi valori, l’Italia è seconda soltanto alla Spagna per i tassi più alti d’Europa: la differenza rispetto alla media Ue è di 84 punti base in più, ma lo spread sale a 148 punti base nel confronto con i tassi medi pagati dalle imprese in Germania.
Il gap Italia-Ue per i tassi d’interesse genera un maggiore costo per oneri finanziari pari a 7,1 miliardi a carico delle aziende italiane.
Le più penalizzate sul fronte dei tassi di interesse sono le piccole imprese con meno 20 addetti. A livello regionale la situazione peggiore si registra in Calabria dove le piccole imprese pagano i tassi più alti: 10,58%. Seguono la Campania con il 10,55% e la Puglia con il 10,22%. Sul versante opposto della classifica, il denaro è meno costoso nella Provincia Autonoma di Bolzano (5,97%), nella Provincia Autonoma di Trento (6,64%) e in Emilia Romagna (7,94%).
A livello provinciale, la maglia nera del costo del denaro va a Crotone dove le aziende pagano tassi d’interesse dell’8,4%, con un aumento di 108 punti base in un anno. Seguono Catanzaro, che registra tassi del 7,99% e un aumento di 73 punti base in un anno, e Vibo Valentia con tassi al 7,82% aumentati di 34 punti base in un anno. All’altro capo della classifica vi è Bolzano con tassi d’interesse del 3,84% (diminuiti di 46 punti base in un anno), seguita da Udine (tassi del 4,30% scesi  di 48 punti base) e da Cuneo (4,43%, -4 punti base in un anno). In provincia di Crotone, quindi il credito per un’impresa costa il doppio rispetto a Bolzano.
Le più colpite dal razionamento del credito sono le imprese artigiane: a dicembre 2012 lo stock di finanziamenti è diminuito del 5,7% rispetto a fine 2011, e si attesta a 52,5 miliardi.
Sul fronte dei debiti della Pa verso le imprese fornitrici di beni e servizi, Confartigianato rileva che nel 2012 l'Italia è il Paese europeo con la somma più alta: 91 miliardi. Una cifra che rispetto al 2009 è aumentata di 0,3 punti di Pil, a fronte del calo registrato in Francia, Regno Unito e Spagna. Nello stesso triennio 2009-2012 il credito alle imprese sul Pil è sceso dal 56,6% al 55,9%, con una flessione di 0,8 punti di Pil.
Record negativo in Europa anche per i tempi di pagamento della Pa italiana: 170 giorni, vale a dire 109 giorni in più rispetto alla media Ue.
Gli imprenditori italiani pagano molto caro il ritardo dei pagamenti della Pa rispetto ai 30 giorni previsti dalla Direttiva europea in vigore da quest’anno: infatti, nell’attesa di quanto loro dovuto, sono costretti a finanziarsi rivolgendosi alle banche e ciò provoca un extra costo di ulteriori 2,2 miliardi.

Non si può fare una buona economia con una cattiva etica.

Guardando al 2014 possiamo solo dire che i problemi rimarranno tutti, al di là degli appelli in stile politichese che periodicamente ci giungono dal politico di turno.
Per riprendere la crescita reale ci vorranno ancora qualche anno ma dobbiamo cominciare a cambiare il modo di affrontare il reale, altrimenti….

Le banche devono comprendere la necessità di dare una mano al territorio, riscoprendo il loro antico humus sociale orientato non solo al profitto ma anche al bene comune del territorio (parola impronunciabile nell’economia di oggi !), Solo così si riuscirà, forse, a guardare il futuro prossimo con maggiore positività.
Abbiamo necessità di maggior etica negli affari, nei rapporti interpersonali, nella politica.
Riprendendo il grande scrittore, controcorrente Ezra Pound, non si può fare una buona economia con una cattiva etica.

Fonte dei dati:
Ufficio studi “Confartigianato nazionale” e Ufficio Credito “Confartigianato Imprese Latina”.

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